COSA E’ e COSA NON E’

LA CITTA’ 30

LA CITTÀ 30 È

una città gentile, accogliente, condivisa, viva, colorata, efficiente, laboriosa.

È la città delle persone, degli amici animali, dei profumi, dei bambini che giocano nelle piazze e nelle tante aree dove sono al sicuro dalla minaccia del traffico 

La Città 30 è una città bella, gradevole, accogliente e funzionale, dove il trasporto pubblico e le mobilità leggere hanno la precedenza sul mezzo privato tossico liberando le strade dal traffico.

Città 30 è la città dove i veicoli rispettano tassativamente i limiti di 20, 30 e 50 kmh anche grazie a dispositivi come Scout speed, autovelox, tutor/celeritas, controlli e sanzioni per mancata precedenza al pedone, infrastrutture stradali fisiche e disegno urbano idonei alla moderazione del traffico.

Gli orari e la durata degli spostamenti sono affidabili e certi, la media oraria dei movimenti è migliore di quella delle città sconvolte dal traffico convulso e caotico.

La Città 30 è anche un modello per fronteggiare la crisi climatica grazie all’ottimizzazione dei consumi energetici e la riduzione di CO2 emessa.

LA CITTÀ 30 NON È

una città inquinata e inquieta, rumorosa, isterica e pericolosa, nemica dei soggetti più fragili come bambini, disabili, anziani e animali.

La Città 30 non è una città brutta e grigia, ossessiva e depressiva, ansiogena e frustrante. Non è la città delle file di auto, dei centri storici e delle strade principali congestionate, delle auto in doppia e tripla fila, parcheggiate sulle strisce pedonali, sugli spazi e sugli scivoli disabli, sui marciapiedi, sulle fermate e corsie bus, sulle ciclabili.

La Città 30 non è la città delle automobili e della violenza motoristica, non è la città nemica della vita e del futuro.

IKARYA

FIABA SULL’UOMO, IL MITO E IL RAPPORTO COI PROPRI LIMITI

Tantissimi anni fa, molto prima delle più antiche civiltà mesopotamiche, esisteva una ricca terra, gli Altipiani di Ikarya, abitata dalle laboriose e ingegnose genti Ikaryote.

Sebbene le attività principali fossero quelle elementari ma molto sviluppate dell’agricoltura, allevamento, caccia, pesca, artigianato e commercio, una speciale particolarità segnò la storia di questa civiltà. 

La casta dei sacerdoti medici, tra le più importanti della gerarchia sociale di Ikarya, aveva affinato una avanzatissima tecnica di trapiantologia che consentiva di espiantare le ali dei volatili e impiantarle sul corpo umano rendendolo abile al volo.

La sperimentazione fu lunga e laboriosa, contrassegnata anche da più o meno gravi fallimenti ma i volontari per sottoporsi all’intervento, accecati dal miraggio del volo, non mancarono mai.

Così come non mancarono gli organi di volo, prelevati dalle specie di uccelli* più grandi e forti. In particolare tre di questi esemplari di megafauna, allora molto diffusi ma purtroppo ora estinti, si prestavano alla funzione prevista:

si trattava del Mahagal, il Fahriat e il Suvvehld, volatili con aperture alari rispettivamente di 3, 4 e 6 metri.

Con gli organi di volo delle prime due specie si potevano raggiungere agevolmente i 20 e i 30 metri di altezza mentre le ali del Suvvehld consentivano di superare anche quota 200 metri. 

 Alla conclusione della sperimentazione le persone si avvicinarono timidamente e con sospetto a questa pratica ma poi, osservando gli effetti positivi su un numero sempre crescente di soggetti, si sprigionò pandemicamente una rincorsa maniacale per realizzare quello che si può considerare da sempre uno dei più grandi sogni ancestrali dell’essere umano: volare.

Quasi tutta la popolazione degli Altipiani di Ikarya, conclusa l’età della crescita fisica, si trovò così a sottoporsi all’intervento tanto agognato con conseguenti periodi previsti della convalescenza e di apprendimento delle abilità tecniche di base per il volo.

 Dopodiché gli spostamenti, di qualunque distanza, genere e finalità, avvenivano ormai quasi tutti per via aerea.

Le cose però, alla lunga, presero una piega imprevista.

Mentre non si riscontrarono, all’inizio di questa “rivoluzione aerea”, gravi problemi nel gestire quantità moderate di umani volanti, con la diffusione di massa dell’attività di volo si presentarono diverse criticità importanti.

Sempre più persone scelsero di avere la tipologia di ali più grandi in modo da superare l’affollamento che congestionava  il primo spazio immediatamente al di sopra dei territori urbani. Il risultato fu che il traffico divenne caotico anche alle quote più alte

Non solo.

Gli Ikaryoti vivevano sugli altipiani a migliaia di metri di altezza dove l’ossigeno disponibile era già scarso, l’attività fisica del volo era impegnativa ma svolgendola a pochi metri da terra gli effetti erano generalmente sostenibili.

Coloro che invece si azzardavano a salire per centinaia di metri a fronte del notevole fabbisogno di ossigeno richiesto dall’intenso impegno fisico trovavano, in quota, ancora minore disponibilità del gas vitale per la respirazione con esiti spesso molto dannosi, a volte letali.

L’ipossia, ovvero la carenza di ossigeno nei tessuti dell’organismo che si verificava in quote elevate, fu causa di un crescente numero di casi di difficoltà respiratorie, nausea, estremo affaticamento, rallentamento dei riflessi, confusione mentale, edemi polmonari e cerebrali, perdita di conoscenza fino al coma.

Coloro che violavano i limiti di altezza, imposti nella misura precauzionale di 30 metri dal consiglio dei giudici e dei saggi di Ikarya, rappresentarono ben presto un pericolo non solo per se’ stessi, quando troppo spesso finivano per perdere il controllo del volo e precipitare a terra, ma anche per chi si veniva a trovare sfortunatamente sulla stessa traiettoria e coinvolto così in schianti devastanti e spesso mortali.

Molti tra i più responsabili e di buon senso invocarono maggiori controlli da parte delle guardie volanti ma queste contestavano carenza di personale e già fin troppe competenze su svariate attività della cittadinanza.

Altri chiesero forti limitazioni alla ormai vasta diffusione della pratica del trapianto ma la casta dei chirurghi, che aveva raggiunto ricchezza e potere politico come mai prima del periodo dei volanti, aveva tutto l’interesse, al contrario, a non ostacolare nessun comportamento di volo, anche rischioso, e contemporaneamente ad incrementare la schiera dei suoi cittadini clienti.

Intaccare, mettere in idscussione il mito del volo libero, proficuo e sicuro che avevano accuratamente contribuito a costruire avrebbe significato per loro la perdita di ricchi profitti e privilegi.

La conquista degli spazi aerei, così tanto agognata dalla specie umana, si era dimostrata foriera di gravi controindicazioni, e non solo per le morti, lesioni gravi e patologie permanenti a causa del volo ma anche per le complicazioni della vita di terra di ogni giorno, a cominciare dalla necessità di spazi vivibili molto più grandi, domestici e non solo, per ospitare le persone ora dotate degli organi accessori di notevole ingombro.

La semplice cura  ordinaria “manutentiva” delle ali richiedeva inoltre notevoli attenzioni e costi economici, non escluse le medicazioni e gli interventi per diversi casi di infezione e rigetto, oltre l’accresciuto fabbisogno energetico, e quindi maggiori consumi e spese alimentari, per il notevole impegno fisico aereo.  

 Volare non era più il sogno fantastico trasformato finalmente in realtà concreta, utile, piacevole e produttiva una volta che questa era diventata attività distopica di massa.

La dipendenza, forse più psicologica che funzionale, verso il mito del volo pose gli Ikaryoti nella paradossale situazione di non saper più vivere né con le ali né  senza di esse.

Ancora oggi la principale conclusione a cui gli studiosi di questa antichissima civiltà sono giunti in merito alla sua estinzione è individuata in una specifica caratteristica del genere umano, riscontrata e riscontrabile a ogni latitudine e in ogni tempo.

Possiamo infatti osservare che se l’uomo sviluppa e ottiene un potenziale che ne aumenti e dilati in modo significativo/abnorme le capacità ordinarie, egli tenderà a fare uso di queste capacità e questi poteri tendenzialmente nella massima forma e misura, in una sorta di smania irrazionale che inibisce le facoltà di moderazione e auto controllo, anche quando queste accresciute capacità di superamento dei propri limiti diventano un grave rischio per l’individuo stesso e l’intera collettività.

Si può definire questo fenomeno cognitivo comportamentale

 BIAS DA DISTURBO VALUTATIVO E DI AUTO CONTROLLO PER ACQUISITE CAPACITA’ DI SUPERAMENTO DEI PROPRI LIMITI UMANI.

Detto anche BIAS DI ICARO

Alfredo Giordani

Limiti e illimitatezza

Il mito di Icaro

* Sempre contro ogni forma di violenza e sfruttamento degli animali

IL MERCATO ITALIANO DI BENI E SERVIZI PER LA MOBILITA’

Le devastanti distorsioni, operate dalla mano pubblica, che hanno portato alla costruzione del modello patologico degli spostamenti

L’attuale modello di mobilità, incentrato sul mezzo privato di massa, è veramente il risultato della libera scelta degli utenti?

Analizzare lo scenario complesso e articolato dei trasferimenti sul territorio nazionale attraverso la chiave di lettura del mercato dei beni e servizi per la mobilità può aiutarci a comprendere dinamiche ed esiti del processo di formazione del modello generale degli spostamenti così come si è andato a creare e consolidare nel tempo.

I Mercati

In scienza economica osserviamo come la società si sia organizzata per soddisfare i bisogni della collettività (domanda) attraverso l’erogazione di beni e servizi forniti da soggetti privati e pubblici (offerta). Mentre è comune l’uso di espressioni quali mercato dell’energia, delle telecomunicazioni, del lavoro, finanziario, dei generi alimentari, etc, in ambito di mobilità il concetto di mercato (Mobility) è riferito quasi esclusivamente al settore automotive risultando così parziale e non significativo dell’intero fenomeno.

Il mercato di beni e servizi per la mobilità

Considerando che Isfort calcola un tasso di mobilità 2018/19 intorno all’85% possiamo dire che ogni giorno in Italia si muovono circa 50 milioni di persone mentre gli spostamenti medi giornalieri si attestano abbondantemente sopra i 100 milioni. Queste cifre di utenti e movimenti rappresentano la domanda di mobilità di un mercato di primaria rilevanza, alla cui base sussiste il bisogno di muoversi, tutelato e riconosciuto dalla Costituzione stessa. Per conoscere il lato dell‘offerta, ovvero beni e servizi prodotti ed erogati per soddisfare le esigenze di spostamento, possiamo analizzare le varie modalità adottate dagli utenti, a partire dal pedone passando via via al ciclista, monopattinista, motociclista, automobilista e utilizzatori di mezzi pubblici e collettivi. Avremo così un vasto panorama di prodotti (marciapiedi, piazze, percorsi, attraversamenti e semafori pedonali, illuminazione, segnaletica, sovrappassi, sottopassi, scale e tappeti mobili, strade, autostrade, viadotti, gallerie, bici, bici elettriche, monopattini, monowheels, ciclomotori, scooter, moto, auto utilitarie, beriline, Suv, camper, minipullman, pullman, bus, filobus, tram, metropolitane, treni, funivie, etc.) e servizi (veicoli in sharing e noleggio, manutenzione della rete stradale e ferroviaria, infomobilità, assistenza ed emergenza stradale, attività agenzie per la mobilità, etc.)

Per comodità di esposizione non abbiamo considerato il mercato del trasporto merci, che comunque presenta forti analogie.

Mobilità sostenibili e non sostenibili

E’ opportuno distinguere quali modalità e mezzi di spostamento siano sostenibili e quali meno, poco o per nulla sostenibili. Per effettuare questa valutazione utilizziamo tre ordini di criteri:

  • Impatto sull’ambiente, quindi sui cambiamenti climatici, ovvero emissione di gas serra, e sulla salute dell’uomo, attraverso la produzione di particolati fini e ossidi di azoto, oltre al consumo di energia per ogni utente trasportato;
  • Impatto sulla vivibilità urbana, considerando il fattore di congestione del traffico, occupazione e invasività degli spazi urbani da parte dei veicoli, sia in movimento che in sosta, soprattutto nei confronti di categorie fragili come bambini, anziani e disabili;
  • Impatto sulla mortalità e lesività dei vari veicoli, considerando che il fenomeno della violenza stradale oltre a produrre ogni anno più di 200.000 tra feriti, feriti gravi, invalidi e circa 3000 morti genera per la comunità un costo che supera i 30 miliardi di euro.

Sulla base di questi parametri di valutazione possiamo considerare sostenibili le mobilità leggere, di trasporto pubblico e collettivo mentre non sostenibili le altre, automobile in primis, a meno che questa non sia condivisa, viaggi con due o più persone a bordo e rappresenti una quota parte minima degli spostamenti in intermodalità e multimodalità. Il concetto di non sostenibilità non comprende le utenze fragili come disabili e anziani non deambulanti che utilizzano l’autoveicolo per evidente necessità.

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EMERGENZA STRAGE STRADALE

Appuntamento sabato 21 maggio 2022, a Roma e nelle città che aderiranno, per dire basta alla violenza motoristica.

2a mobilitazione nazionale dei Cittadini della Strada

Associazioni, fondazioni, movimenti, familiari di vittime di violenza stradale e utenti della strada parteciperanno il 21 maggio alla manifestazione nazionale, a Roma e in altre città italiane, per richiamare l’attenzione di cittadini, istituzioni e media sulla strage stradale.

Una guerra quotidiana e ignorata che continua a uccidere e a ferire nell’indifferenza generale. Sono tragedie e dolore evitabili e serve il massimo impegno di tutti per diffondere una nuova cultura stradale che tuteli l’incolumità delle persone, il rispetto dell’ambiente, la vivibilità delle città. Una cultura in cui prevenzione e mobilità sostenibile siano finalmente priorità.

Nel manifesto le motivazioni e le richieste di chi crede che il cambiamento sia possibile, necessario e urgente.

La lettera manifesto è stata inviata al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, al Ministro delle infrastrutture e mobilità sostenibili, al Ministro dell’Interno, ai sindaci, ai prefetti e alla stampa.

Per organizzare un evento per la prevenzione stradale e le mobilità sostenibili nella propria città in concomitanza con la mobilitazione nazionale del 21 maggio prossimo si può contattare:

vivinstrada@outlook.it o il 333 3440189

CITTA’ ADERENTI ALL’EVENTO

COSENZA, Piazza dei Bruzi
LECCE, Piazzetta Castromediano

LA CENSURA ISTITUZIONALE E MEDIATICA SUL TEMA TABÙ VIOLENZA STRADALE

LA RIMOZIONE SISTEMATICA DI UNA PATOLOGIA SOCIALE CHE IN ITALIA HA CAUSATO OLTRE 30.000 VITTIME NEGLI ULTIMI DIECI ANNI

UNA COLPEVOLE INDIFFERENZA COMPLICE DI POTERI E INTERESSI COSì FORTI TRASFORMARE IN ORDINARIA NORMALITA’ UNA STRAGE SENZA PRECEDENTI.

Tema mai citato dal presidente della repubblica in 7 anni del suo mandato.

Oltre 80 articoli riportati da agenzie e testate locali, neanche uno da parte della comunicazione mainstream.

Grazie a Gioia Bucarelli, ai familiari vittime violenza motoristica e agli attivisti per la prevenzione stradale.

#RimozioneSistematica

#StrageStradale

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LE COLPE DELL’AGNELLO

L’agnello a cui ci riferiamo è quello della famosa favola di Fedro, Lupus et agnus, in cui il piccolo ovino viene accusato da un lupo di inquinare l’acqua del ruscello a cui ambedue si stanno abbeverando. La bestiolina inerme però si trova a valle rispetto al canide e a nulla vale far notare le proprie giuste ragioni di innocenza. Il lupo, avanzando altre improbabili motivazioni, aggredirà l’agnello semplicemente perché nel mondo animale è la forza l’unico parametro di confronto tra soggetti in competizione tra loro.

Nel mondo umano (?) sta avvenendo qualcosa di analogo tra utenti della strada molto (MOLTO!) differenti per dimensioni,  massa e potenziale offensivo. Dopo la categoria dei ciclisti che “sfrecciano” impunemente su strade e marciapiedi, i pedoni che si “gettano” in mezzo alla strada, anche se correttamente sulle strisce pedonali, sembra giunto il momento anche dei “criminali” monopattinisti.

Assistiamo, infatti, al florilegio di accuse quotidiane di “pericolosità” da parte di media e persino di rappresentanti istituzionali verso l’ultimo arrivato in campo di mobilità leggera. Che, sia chiaro, si aggiunge e non soppianta di certo le ormai storiche leggende metropolitane riguardanti le altre modalità sostenibili. 

Queste suggestioni si basano su dati e ricerche concreti e ufficiali?

Abbiamo provato a consultare i dati Istat relativi a sinistri e vittime rilevati nell’anno 2019 e individuare la relazione tra morti e tipologia di veicoli coinvolti nei sinistri che li hanno causati.
Sebbene la documentazione raccolga complessivamente circa 90 tabelle, non ne esiste una in particolare che consenta di estrapolare direttamente questa relazione, desunta quindi dall’incrocio di più prospetti informativi.

LINK ISTAT


   Per semplicità abbiamo operato su 3 categorie: PEDONI, CICLISTI e tutto il resto dei MOTORIZZATI (quindi utenti di auto, moto, ciclomotori, autocarri, pullman, etc) individuando per ogni vittima quali tipologie di utenti hanno partecipato all’evento mortale.

Tra gli utenti rilevati non compaiono ancora gli utilizzatori dei monopattini, che, abbiamo appreso, appariranno nei prossimi dati, scorporati dai ciclisti. Le prime informazioni saranno fornite con il report di luglio 2021 sui dati 2020.

1493 delle 3173 vittime totali sono dovute a schianti tra veicoli non leggeri e ben 892 persone sono morte in schianti che hanno coinvolto un solo veicolo “motorizzato”, ovvero in un sinistro autonomo.

I veicoli pesanti sono ancora protagonisti nell’uccisione di 534 pedoni e e 253 ciclisti.

Una persona è stata uccisa da un ciclista.

La notizia è che il 99,97% delle vittime sulla strada si è avuto con la partecipazione di mezzi motorizzati non leggeri e solo lo 0,03% a causa di un mezzo leggero.

Dati nudi e crudi, che dovrebbero far riflettere sulle innumerevoli affermazioni infondate (fake news?) che contribuiscono al fenomeno indegno del victim blaming, la colpevolizzazione della vittima.

La gravità di una più o meno deliberata campagna discriminatoria e diffamatoria verso gli utenti fragili della strada è data anche dal fatto che simili attività persecutorie contribuioscono a ostacolare e destabilizzare efficaci politiche di contrasto ai veri fattori che determinano una strage stradale che continua a perpetuarsi intonsa da decenni.

Alfredo Giordani

Rete #Vivinstrada

Articolo: Casco obbligatorio sul monopattino: il Tar boccia il comune di Firenze.

Articolo: Monopattini elettrici, troppi incidenti e pericoli alla guida.

Articolo: Monopattini, nuovo incidente. Sono pericolosi e usati male.

Articolo: I dati choc sui pattini elettrici.

Articolo: Il pericolo dei monopattini elettrici.

Articolo: I monopattini elettrici possono essere pericolosi per i non vedenti.

CONTROMANIFESTAZIONE AL SALONE DELL’AUTO DI MILANO. Sabato 12 giugno 2021.





MILANO 2021: AUTOSALONE O CITTÀ DELLE PERSONE?

36 associazioni e comitati contro le modalità scelte per l’organizzazione del Milano Monza Open-Air Motor Show: “Manifestazione anacronistica, occorre diminuire il tasso di motorizzazione privata, non incentivarla”

Nonostante numerosi rinvii causa Covid, dal 10 al 13 giugno 2021 a Milano e a Monza si terrà il Milano Monza Open-Air Motor Show, con decine di auto in esposizione lungo 3 Km di vie pedonali, da San Babila attraverso Piazza Duomo, perfino intorno alla cattedrale, per arrivare al Castello Sforzesco.

Le oltre 100 automobili e motociciclette esposte, si legge sul sito web dell’evento, presenteranno dei “QR code posti su ogni pedana che permetteranno agli interessati di visualizzare la pagina riservata ad ogni modello, con schede tecniche, immagini, video e link per contattare le case costruttrici.”

Le associazioni della società civile e gli attivisti di reti e realtà nazionali e lombarde richiamano l’attenzione dei cittadini e dell’amministrazione sulla contraddizione di ospitare e patrocinare un evento come questo: da una parte si incentiva direttamente l’acquisto dei prodotti “di oltre 50 brand costruttori”, trasformando lo spazio pubblico in un autosalone privato; dall’altra Milano tenta di promuovere la sua immagine nazionale e internazionale di città sostenibile e attenta alle esigenze di sicurezza e benessere dei cittadini di tutte le età e le abilità.

Per rendere le città sostenibili, sicure, vivibili per tutte le persone, occorre diminuire il tasso di motorizzazione privata, non incoraggiarlo con iniziative che vanno in contraddizione con le linee guida del PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile) approvato dallo stesso Comune di Milano nel 2020. Milano è inoltre in evidenza nella rete globale C40 Cities e già nel 2000 aveva sottoscritto la Carta di Aalborg (Carta delle città europee per uno sviluppo durevole e sostenibile).

Le città europee (Berlino, Berna, Vienna, Francoforte, solo per fare alcuni esempi) hanno tassi di motorizzazione privata molto inferiori a quello delle città italiane che, come si evince anche dalla recente ricerca di Legambiente Clean Cities (2021), soffrono di un notevole ritardo. L’italia è uno dei paesi con il più alto tasso di motorizzazione in Europa, con 656 automobili ogni 1000 abitanti (Milano: 495).

Se vogliamo uno spazio pubblico più democratico e inclusivo dobbiamo cambiare il modello di mobilità. Sempre meno auto private, più spazio alle persone, a partire dai minori, dagli anziani e dalle persone diversamente abili; sempre più spostamenti con veicoli a emissioni realmente zero, sempre più condivisi, collettivi, silenziosi e sicuri. In attesa che anche l’Italia prenda posizione sulla proposta di vietare la vendita di veicoli diesel e benzina al 2030 in Europa, attualmente sottoscritta da nove paesi UE, i danni di una motorizzazione eccessiva continuano a essere ingenti e sotto gli occhi di tutti: incidenti, congestione, inquinamento, alterazione del clima, mancanza di spazio per attività commerciali e per il benessere, bolle di calore, cementificazione, consumo di suolo.

Le auto sono inoltre armi improprie: quando non rimangono bloccate in un ingorgo diventano sempre più veloci e letali: nel 2019 a Milano sono morte 34 persone, con oltre 10.000 feriti, per un totale di oltre 8.000 incidenti. Pensando alla salute delle giovani generazioni, mai come in questo periodo storico i bambini si muovono così poco: il 73% dei bambini italiani è accompagnato a scuola in auto, anche per brevi tratti, con ripercussioni negative sulla salute psico-fisica, sull’autostima e sulla loro futura indipendenza.

Alti sono i costi sanitari e sociali legati all’inquinamento della città (perdita di anni di vita e di giornate di lavoro). L’aria della Pianura Padana è pesantemente contaminata da pericolosi inquinanti prodotti da fonti diverse. Nelle città questi sono maggiormente causati dal traffico veicolare, considerando le emissioni primarie, il secondario e il risollevamento delle polveri. L’usura e l’abrasione di asfalto, pneumatici, freni e frizioni sono fonti inquinanti in aumento e le auto elettriche, da sole, non risolveranno quindi il problema dell’inquinamento e del traffico in città, né gli effetti negativi sul clima.

Perché quindi invogliare la gente a comprare ancora più auto, se siamo già al capolinea? Serve invece più coerenza: Milano non può sostenere la sua immagine green e sostenibile se al contempo patrocina un evento come il Milano Monza Open-Air Motor Show. Piuttosto, promuova in sede regionale e nazionale il modello di Città 30 Km/h: una città efficiente, sana, produttiva e sicura per tutte le età e le abilità, con sempre più trasporto collettivo, uscendo dalla logica di città parcheggio e autodromo o, come in questo caso, di città autosalone.

Le associazioni chiedono al governatore della Regione Lombardia e ai sindaci di Milano e Monza di ripensare al sostegno concesso a una manifestazione anacronistica come questa, che contribuisce a promuovere la necessità della motorizzazione di massa, ormai fuori dalla storia: perfino in Italia il Motor Show di Bologna ha da tempo cessato la sua programmazione, mentre in seguito alle contestazioni il Salone dell’Automobile di Francoforte non si terrà più nella città che a lungo lo ha ospitato.

Il pomeriggio di sabato 12 giugno le associazioni invitano tutti i cittadini a visitare il Motorshow in modo consapevole e critico, cercando i QRCode che spiegano i reali effetti di una motorizzazione indiscriminata, per mostrare che un altro mondo (e modo di spostarsi) è possibile.

Associazioni e comitati sottoscriventi

Legambiente Lombardia Onlus

Legambici – Legambiente per la mobilità attiva e la ciclabilità APS Milano

Circolo Legambiente A.Langer Monza

Genitori Antismog APS

Rete Vivinstrada

Famiglie senz’auto

MobiGe – Genova

Cittadini per l’Aria

Bike to School

FIAB Milano Ciclobby

Extinction Rebellion Milano

Ciclisti Urbani Rimini

Genovaciclabile

salvaiciclisti Bologna

Ecoistituto di Reggio Emilia e Genova

Massa Critica Genova

Rinascimento Genova

Massa Marmocchi Milano

Vas Verdi ambiente e società

Coordinamento BiciPace

Fiab MonzainBici

Ecodallecitta.it

Campagna Strade Scolastiche

Comitato Parco di Monza

Comitato “Villa Reale è anche mia”

Greenpeace Italia

Associazione Salvaiciclisti Roma APS

Kyoto Club

AMoDo – Alleanza Mobilità Dolce

Ciclostile – ciclofficina popolare del Centro Sociale Bruno di Trento

Fridays for Future Milano

Fondazione Luigi Guccione Onlus

Marco Pietrobono Onlus

AIFVS Associazione Vittime della Strada

hub.MAT APS

Fondazione Michele Scarponi Onlus

‍Ufficio stampa Legambiente Lombardia

Silvia Valenti

NON POSSIAMO ACCETTARE CHE TORNI TUTTO COME PRIMA, CHE LE AUTO SI RIAPPROPRINO DELLE CITTA’ E DELLE NOSTRE VITE.

NON POSSIAMO ACCETTARE UNA TALE MANIFESTAZIONE DI ESALTAZIONE DEL MEZZO PRIVATO SENZA TESTIMONIARE LA NECESSITA’ URGENTE DI UN CAMBIAMENTO VERSO MODALITA’ ALTERNATIVE, LEGGERE, COLLETTIVE E SOSTENIBILI DI SPOSTAMENTO.

IL 12 GIUGNO ANDIAMO A MILANO.

12 GIUGNO 2021, Milano Giornata di protesta contro il Salone dell’Auto🚘, per demotorizzare l’Italia!

https://www.milanotoday.it/attualita/bici-auto-milano-.html


 


https://www.milanomonza.com/

SCENARI DI MOBILITA’ URBANA POST FASE ACUTA COVID 19

LE GRANDI CITTA’ ALLA PROVA DEL TRAFFICO. 
IL CASO ROMA (ma non solo).
      La pandemia virale rischia di lasciare una pesantissima eredità sul traffico e le condizioni di vivibilità urbana di molte città.
      Il problema principale consiste nelle conseguenze attese sul trasporto pubblico ovvero una  devastante “fuga” verso l’automobile da parte di chi utilizzava tram, autobus, treni, filobus e metropolitane considerati adesso pericolosi per il rischio contagio e/o scomodi e non convenienti per le sopravvenute difficoltà di utilizzo dovute all’obbligatorio rispetto delle distanze sanitarie.
      Non sappiamo quanto durerà questo effetto negativo, di sicuro dipende da quanto si prolungherà l’allerta virale e dagli esiti psicologici sugli utenti dei mezzi pubblici.
      A queste incognite si aggiungono altre variabili, ovvero le politiche intraprese dai vari livelli amministrativi locali e di governo centrale per fronteggiare questa emergenza invero del tutto inedita.
      Se si dovessero combinare tempi lunghi per il superamento della crisi tpl con ritardi e inadeguatezza di soluzioni istituzionali il risultato potrebbe essere catastrofico per le città coinvolte.
CorsiaBiciChampsE
      Proviamo a delineare dei quadri situazionali che seguano l’evoluzione dei vari fattori che possono incidere sul fenomeno mobilità urbana nel progressivo allentamento delle misure di lockdown.

Scenario Uno, bassa criticità.                                                                                                          Poche attività economiche aperte, smart working a massimo regime, scuole ancora chiuse, turismo assente.

Scenario Due, media criticità.
Molte attività riaperte, smart working a medio regime, scuole ancora chiuse, turismo pressoché assente.
Scenario Tre, massima criticità.
Attività generalmente riaperte, smart working a basso regime, scuole aperte, turismo attivo.

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LA TUA PAURA

Sei preoccupato, allarmato, terrorizzato. Perchè?

       Sì, ok virus, epidemia, pandemia, siamo d’accordo, orribile, ma la cosa peggiore che ti può succedere in questa situazione qual è? Morire?
Sí, penso che più di ammalarti e morire non ti può accadere.
       Allora il tuo panico è dovuto a questa paura, la più ancestrale e diffusa: soffrire e morire. Minaccia che riguarda non solo te ma che coinvolge, direttamente e indirettamente, anche i tuo cari, pure per questo insopportabile.
CORONAVIRUS PAURA
        Probabilmente non ti era mai successo di viverla, o almeno di provarla cosí intensamente e da vicino come in questi giorni. E si vede. Non è un bello spettacolo notare certe reazioni inconsulte, vederti sbraitare e inveire per ogni pretesto o contro il diverso, la minoranza di turno, facendo il forte coi deboli, classico, tra l’altro, di chi è debole coi forti.  Contro quelli che “potrebbero”, è sufficiente il condizionale, metterti in pericolo, vanificare i tuoi immani sacrifici, come stare ore sul divano, solo perché pretendono di esercitare diritti formalmente riconosciuti ma ritenuti da te superflui.
        Mi fai tenerezza, mi riporti indietro di tanti, tanti anni. Quando era toccato a me scoprire questa emozione forte, una morsa gelida allo stomaco, guardando dritto negli occhi e da minima distanza la Signora vestita di nero. Erano le prime volte che mi avventuravo sulla strada non protetto dalla blindatura di un autoveicolo. E mi succede sempre, ancora oggi come allora, quando pedalo o cammino accanto alla minaccia motorizzata, l’arma impropria che ha fatto e continua a fare più vittime nella storia dell’umanità.
       Fortunatamente, col tempo, si impara a convivere con questa paura, non che si avverta di meno o faccia meno male alla psiche e quindi anche al corpo, semplicemente si acquisiscono gli “anticorpi” per gestirla adeguatamente. Anche se vedere che altri, intorno a te, simili a te, restano continuamente sull’asfalto non aiuta molto.
AUTOI ARTICOLO PAURA
       Ma pensa, stranezze della vita, che “grazie” a questa consapevolezza dell’alto grado di rischio del traffico mi è accaduto qualcosa che mai e poi mai avrei pensato potesse succedermi. Dopo circa venti anni di panico, letterale, da viaggio aereo, l’ultimo effettuato nel 1993, sono tornato recentemente a fare diversi voli in Italia ed Europa, con immenso stupore della mia famiglia che proprio non riusciva a crederci.
       Ho percorso un processo cognitivo in cui confrontavo analiticamente e razionalmente i rischi stradali, enormi, con quelli aerei, molto, molto inferiori, come da statistiche e valutazioni scientifiche ma anche soggettive. Ne emergeva una profonda mancanza di coerenza nell’affrontare quotidianamente i primi ed evitare gli altri costringendo soprattutto chi vive con me a rinunciare alle opportunità di viaggio offerte dal volo. Per inciso, resta fermo che volare va evitato come la peste per le gravi implicazioni ecologiche che comporta.
       Tornando alla situazione odierna, grave, gravissima, un incubo in cui siamo tutti precipitati e da cui ancora non si vede via di uscita ben definita, posso dirti che, anche qui, convivere costantemente col rischio massimo, quello della vita, mi ha consentito con la dovuta freddezza e raziocinio di studiare e capire al meglio, per quanto possibile, i termini reali della situazione e valutarne oggettivamente rischi e contromisure, evitando di cadere in stravolgimenti emotivi che in genere non sono solo sterili ma anche pesantemente dannosi.
       Per la verità non dovrebbe risultare necessario essere “forgiati” da simili anomalie sociali, come le attività “estreme” stradali, per riuscire ad affrontare civilmente e in modo appropriato eventi drammatici come quello pandemico attuale.
Esiste un istituto sociale obbligatorio, l’insegnamento scolastico, che per lunghi anni dovrebbe formarci adeguatamente a usare al meglio, analiticamente e criticamente, le profonde capacità cognitive umane di cui disponiamo. Se l’istruzione si riduce a puro nozionismo abbiamo fallito, eppure abbiamo una categoria di educatori di altissimo valore, che comunque nulla può contro le persistenti raffiche di messaggi mediocri e abbrutenti da parte di media, società e poteri economici.
       La storia, la filosofia, la letteratura ci hanno ampiamente insegnato che non dobbiamo mai consentire a niente e nessuno di calpestare quello che forse rimane il più alto valore che ancora ci resta da difendere, la dignità umana. Non dobbiamo permetterlo neanche a un’amica che è utile fino a quando ci aiuta a percepire i pericoli ma che ci annichilisce se non riusciamo a gestirla e ci lasciamo sopraffare.
Sì, la paura.
Alfredo Giordani
Rete #Vivinstrada

LA PAURA E LA RAGIONE. Tra il virus e la guida.

      Come ci comportiamo di fronte a un grave pericolo, una situazione molto critica, che può mettere a rischio la nostra vita e quella dei nostri cari oltre che di molti individui della nostra collettività?
Chi si occupa in modo approfondito del fenomeno della violenza stradale non può non aver accuratamente analizzato questo specifico aspetto di economia comportamentale.
 
      L’emergenza corona virus ci ha messo di fronte ad alcune dinamiche cognitive riguardanti la comprensione, la percezione di un certo rischio sociale e le conseguenti reazioni ad esso, spesso anche differenti da persona a persona.
alfredo metro bandanda
      In Italia l’allarme contagio è partito in modo blando, poi, man mano che i numeri dell’epidemia crescevano, misure di contenimento e consapevolezza della gravità del fenomeno si sono via via intrecciate in una spirale crescente fino a portare al blocco generale di ogni attività non essenziale. Oppure non nociva.  
      E su questa ultima differenza tra attività non indispensabili e non dannose si sono creati due blocchi contrapposti di “scuole di pensiero”.
      Da una parte i sostenitori del coprifuoco assoluto, riuniti sotto lo slogan governativo #IoRestoACasa, e dall’altra i difensori del diritto di muoversi anche solo per una passeggiata o per “sport e attività motoria”, a piedi o in bici, come peraltro esplicitamente previsto e consentito dal decreto Conte. 
      Il paradosso, inoltre, consiste nel fatto che ambedue le “fazioni” abbiano ragione, sia chi decide di restare stabilmente nella propria abitazione sia chi vuole muoversi all’aperto nel rispetto delle disposizioni vigenti. Il conflitto si accende però quando i primi esigono che il loro comportamento sia imposto anche agli altri, accusati di essere “fuorilegge”, irresponsabili e pericolosi potenziali diffusori di contagio.
      Questi ultimi, naturalmente, non riescono a comprendere e accettare simili accuse in quanto ritenute totalmente infondate e basate su una interpretazione per lo meno superficiale se non largamente distorta della situazione contingente.
      Se facciamo un parallelismo con il fenomeno stradale, per la strage motoristica le criticità relative all’opinione pubblica e istituzionale riguardano una grave sottostima dell’entità del pericolo o, qualora se ne percepisse la gravità, l‘incomprensione delle cause reali e quindi la conseguente inadeguatezza delle soluzioni basate su premesse infondate.
      Tornando all’emergenza virale in corso possiamo dire che si è raggiunta una buona consapevolezza generale sulla gravità della situazione mentre i due contrastanti approcci risolutivi sopra descritti evidenziano invece una notevole asimmetria conoscitiva del fenomeno patologico con una conseguente deriva comportamentale che risente, da parte di alcuni, più di fobia emotiva, ai confini con la psicosi, che di atteggiamenti razionali e mirati.

      Questo può accadere quando ci rifiutiamo di capire, ragionare, fare un piccolo sforzo mentale per comprendere situazioni e dinamiche non necessariamente complesse ma anche solo insolite o particolari.

      Entrano in gioco allora fenomeni come le euristiche, ovvero processi cognitivi sintetici di giudizio, che non richiedono valutazioni più approfondite e analitiche. In questo caso uno slogan, una formula verbale come “IoRestoACasa” racchiude tutto quello che devo sapere e fare, senza costringermi a pensare oltre.
      E’ molto triste prendere atto di quanto sia diventato faticoso e crei disagio provare a ragionare per capire meglio la realtà che ci circonda, rintanandoci nella nostra “comfort zone” delle regolette e dei luoghi comuni come, per la sicurezza stradale, indossare la cinta, il casco, non usare il cellulare, la bici è pericolosa, il pedone si getta sulle strisce, etc, senza scendere nel profondo delle varie leve che muovono le azioni umane alla guida.
      E provoca ancora più amarezza e sconforto notare che l’approccio consapevole e scientifico ai fenomeni patologici sociali venga visto come inopportuno o addirittura pericoloso da chi si ferma alla superficie delle questioni.
      Per non parlare poi delle istituzioni quando si appiattiscono su queste stesse posizioni all’insegna dell’approssimazione.
Alfredo Giordani
Rete #Vivinstrada

Testo decreto 9 marzo 2020 che riporta il dispositivo:

" ...lo sport e le attivita' motorie svolti  all'aperto  sono
ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile  consentire  il
rispetto della distanza interpersonale di un metro;»